La centaura innamorata – Racconto breve
Questa fiaba è stata pubblicata della raccolta “Amore e Psiche 2018”, casa editrici Kimerik.
Nel cuore di un bosco di querce, laddove gli alberi erano più radi e il sole riusciva a riscaldare l’erba, viveva una creatura metà donna e metà bestia: una centaura. I suoi capelli erano rossi e i suoi occhi verdi come l’erba. Ogni giorno girovagava da sola in cerca di animali e piante, spinta dalla curiosità e dalla sete di conoscenza.
Un mattino udì uno splendido canto. Si nascose dietro un grosso arbusto e vide il giovane uomo a cui apparteneva la voce. Aveva i capelli neri e la pelle bianca ed era vestito di seta e di velluto. D’improvviso, un cinghiale sbucò da dietro un albero e tentò di attaccare il giovane. La centaura fu pronta a incoccare una freccia e a scagliarla vicino al cinghiale, costringendolo a fuggire.
«Chi siete voi, che mi salvate la vita e mi guardate con quegli occhi tanto belli?» domandò lui, voltandosi verso di lei. «Siete forse una dea?»
«Il mio nome è Primula» disse la centaura. «Non sono una dea, sono solo un’arciera.»
«Che voi siate benedetta, arciera. Vi prego, lasciate che baci la vostra mano!» supplicò il giovane, inginocchiandosi per terra. La centaura, arrossendo in viso, allungò la mano verso di lui e accettò il suo bacio.
«Vorrei tanto vedervi» disse lui, con un sorriso. «Potreste uscire da dietro quel cespuglio?»
«Oh, non posso!» mentì la centaura. «Stavo facendo il bagno e sono completamente nuda!»
«Perdonatemi!» disse il ragazzo, distogliendo lo sguardo. «Grazie ancora per avermi salvato!»
«Non mi avete detto il vostro nome» aggiunse lei.
«Mi chiamo Febo, come il dio del sole» rispose lui, con gli occhi bassi. «Potrò mai rivedervi, se adesso me ne andrò?»
«Mi rivedrete solo se lo vorrete» rispose Primula.
«Lo vorrò di certo. Addio, mia signora!»
La centaura tornò verso la sua casa scavata nel legno di un’enorme quercia. Non riusciva a smettere di pensare al bel giovane ed escogitò un modo per poterlo rivedere. I centauri erano da sempre i depositari dell’ultimo residuo di magia rimasto sulla Terra. In mezzo ai mille libri che aveva sullo scaffale, Primula trovò un incantesimo che le avrebbe concesso la forma umana, almeno per un giorno. Preparò un filtro e lo bevve, provando un dolore atroce: in pochi istanti le sue zampe equine svanirono per lasciare il posto a due esili gambe umane. Era ancora instabile e malferma, ma si mise in marcia e all’alba finalmente raggiunse la strada dove aveva visto sparire il giovane. Si coprì il seno con i capelli e iniziò a chiamare aiuto, fingendo di essere stata derubata. Alcune lavandaie la soccorsero e le diedero un vestito e dei sandali. Quando fece il nome di Febo, tutte la riconobbero.
«Tu devi essere Primula!» esclamò una comare.
«Il signor Febo ha parlato di te tutto il giorno!» affermò un’altra donna. «Ha dichiarato che ti avrebbe cercata per sposarti!»
«Vi prego, portatemi da lui!» disse Primula, con gli occhi pieni di speranza.
«Io sono la sua governante!» asserì la comare più vecchia. «Vieni con me.»
La donna prese a braccetto Primula e la condusse in una bella villa con le pareti bianche. Febo sedeva alla scrivania, intento a esaminare alcune carte.
«Signore, guardate chi vi ho portato!» disse la governante.
«Primula!» esclamò lui, con un gran sorriso. «Mia salvatrice! Mi avete ritrovato! Debbo dunque tener fede alla mia parola e prendervi in moglie!»
«Vi prego, cantate per me» chiese Primula, arrossendo. Febo fece cenno alla governante di uscire e iniziò a intonare una melodia struggente, narrando la storia di una principessa chiusa in un castello in attesa del vero amore.
Quando intonò l’ultima strofa, gli occhi di Primula erano pieni di lacrime. «Accetterete la mia proposta di matrimonio?» chiese lui, prendendole le mani.
«Canterete ancora per me?» chiese lei, speranzosa.
«Ogni giorno, se lo vorrete.»
«Io vi sposerò, ma vorrei che la stanza più grande di questa villa fosse riservata a me e vorrei essere l’unica a possederne la chiave. Vi prego, non fatemi domande.»
«Se è tutto quel che volete, lo avrete» disse Febo.
Alla vigilia delle nozze, Primula raccolse i suoi averi e li trainò con un carretto fino alla casa di Febo mentre era ancora una centaura.
«O mie forti zampe!» pensò. «Dovrò dirvi addio per due misere gambe che mi sorreggono appena! Non potrò più correre per i boschi, non potrò nitrire di gioia sotto la pioggia, non potrò tendere il mio arco! Ahimè, perderò tutta la mia forza!»
Prima che spuntasse il sole, Primula bevve il filtro che la rendeva umana e sposò il giovane uomo. Durante la prima notte di nozze, Febo le tolse il velo dal viso e dai capelli.
«Come sei bella!» sussurrò.
«Se un giorno non dovessi più essere bella, mi vorrai ancora?» domandò lei. «Per sempre» rispose Febo.
I due sposi vissero felicemente per parecchi mesi. Ogni mattina, Primula si svegliava all’alba per impedire alle sue gambe di tramutarsi in zampe di cavallo, sopportando il dolore con il sorriso sulle labbra. Una sera, mentre Febo cantava, venne colto da un attacco di tosse fortissimo che quasi gli tolse il fiato. Col passare del tempo, la tosse si ripresentò sempre più forte, finché una notte il giovane non macchiò di sangue il fazzoletto bianco con cui si copriva la bocca.
«Mi amerai ancora, anche se non potrò più cantare?» chiese Febo.
«Per sempre» rispose Primula.
La governante corse a chiamare un medico, ma con lui vennero solo cattive notizie. Primula si chiuse nella sua stanza e sfogliò i suoi libri sperando di trovare una cura. Finalmente, tra le pagine del libro più vecchio e lacero lesse una soluzione: Febo sarebbe rimasto in vita se avesse potuto bere ogni giorno il sangue di un centauro. Senza pensarci due volte, Primula attese l’alba e corse nella sua stanza per lasciare che la sua trasformazione in centaura avvenisse. Si praticò un taglio profondo su una delle zampe e lasciò che il sangue si raccogliesse in un bicchiere. Dopo esser tornata umana, andò in camera da letto e svegliò suo marito per dargli da bere.
«Che cos’è?» domandò lui.
«È una medicina che mi preparava sempre mia nonna quando avevo la tosse» mentì Primula.
«Devi berla ogni mattino, affinché faccia effetto.» Il giovane bevve e si sentì improvvisamente meglio.
Ogni giorno, prima che Febo si svegliasse, Primula gli faceva trovare la medicina sul comodino. Era felice di aver trovato il modo di curarlo, ma presto i suoi capelli persero la loro bella sfumatura rossa e due occhiaie scure si formarono sotto i suoi occhi.
«Mi ami anche se non sono più bella?» domandò Primula a suo marito.
«Per me sarai sempre bella» rispose lui. «Però sei tanto pallida. Sei forse ammalata anche tu?»
«Sto bene, stai tranquillo!» disse lei, con un sorriso.
«Cosa fai da sola in quella stanza, ogni mattino?» domandò Febo.
«Mi avevi promesso di non chiedermelo mai!» rispose Primula.
Una notte, credendo che il marito dormisse, Primula iniziò a svestirsi. Innumerevoli tagli le costellavano le gambe e le braccia.
«Ti sei fatta male?» domandò Febo. Primula si rivestì in fretta.
«Sono solo caduta in mezzo ai rovi. Ti prego di non domandare altro» disse lei, senza guardarlo negli occhi.
Quando giunse l’alba, Primula si alzò in fretta per raggiungere la sua stanza. Le gambe si stavano facendo più forti e presto le dita sarebbero divenute zoccoli. Febo l’afferrò per una mano prima che potesse andare via.
«Dove vai?» chiese, preoccupato.
«Vado a preparare la tua medicina!» disse Primula. Lui lasciò andare la sua mano e attese il suo ritorno. Passò un’intera ora: il sole era ormai già alto, ma Primula non era ancora tornata. Febo, senza la medicina, iniziò a sentirsi di nuovo debole. Nonostante la promessa che aveva fatto, decise di andare a cercare Primula nella sua stanza e iniziò a bussare insistentemente, ma lei non apriva la porta.
«Ti prego, fammi entrare!» disse lui, con una mano sulla maniglia.
«Aspetta!» rispose Primula, con voce debole. «Prima rispondi a una domanda: mi ameresti ancora anche se non fossi… non fossi più umana?»
«Per me tu non sei mai stata umana» rispose Febo. «Per me sei l’angelo che mi ha salvato la vita!»
«E allora entra…»
Il giovane aprì la porta e si portò le mani alla bocca. Nel mezzo alla stanza giaceva una centaura moribonda che aveva lo stesso volto di sua moglie. «È ora che tu sappia…» sussurrò Primula, con un debole sorriso.
La centaura raccontò per la prima volta a suo marito la verità sulla sua natura e sull’origine della medicina che lo aveva tenuto in vita.
«Tu stai morendo a causa mia!» disse Febo tra le lacrime, tenendo in grembo la testa di lei.
«Mi rammarico solo di non poterti più aiutare, però morirò felice: morirò come sono nata, come una centaura, e morirò sapendo di averti raccontato tutto. Ti prego, canta per me un’ultima volta…»
Il giovane baciò la moglie sulle labbra e poi intonò la melodia che aveva condotto Primula da lui nel bosco. Quando intonò l’ultima strofa, gli occhi di lei si erano chiusi per sempre. Febo seppellì Primula da solo, nel giardino della villa, e ogni giorno cantò per lei fino a consumare i suoi polmoni. Un mattino la governante lo sorprese inginocchiato sulla tomba di Primula, con la testa appoggiata sulla lapide.
«Vi prego, venite in casa. Qui fuori è troppo freddo per voi!» disse lei, ma non giunse risposta. La donna poggiò una mano sulla spalla del padrone: solo allora si accorse che aveva smesso di respirare. Se ne era andato col sorriso sulle labbra e con un canto nella gola.
L’indomani, Febo venne sepolto accanto alla moglie. La primavera successiva, tantissime primule coprirono le tombe dei due sposi e in mezzo a esse nacque una grossa quercia. Coloro che hanno osato avvicinarsi alle lapidi durante la notte giurano di aver udito il vento cantare in mezzo alle primule e di aver visto i rami della quercia allungarsi per poter accarezzare i fiori nati tra le sue radici.