CAPITOLO 3 – L’infanzia della Luna nuova | L’ultima regina
Durante una notte di luna nuova, la regina Gealis e il re Skal Iliwa, principe dell’Aratolia, diedero al regno la piccola principessa Zirfis, futura monarca di Elberas. Ella fu cresciuta con tutto l’amore e la dedizione di cui sua natura vivace e intelligente necessitava.
Trascorsero cinquanta lune piene e una nuova principessa venne al mondo, prima che luna ritornasse nera. Costei venne chiamata Margas e sua sorella l’amò perdutamente fin dal primo istante in cui la vide. Le due bambine divennero inseparabili, crescendo insieme in grazia e bellezza. Le loro indoli erano differenti, ma egualmente forti: l’una esuberante ma talvolta imperscrutabile, l’altra posata e acuta.
Non discorreremo adesso della storia di Margas, ampiamente illustrata nelle pagine successive, ma di quella di Zirfis.
In un grande riquadro, nella pagina accanto a quella che mia madre stava leggendo, il ritratto di una bella ragazza con i capelli neri mi fissava con due gelidi occhi azzurri, brillanti e fieri. Aveva una pelle chiarissima e la sua espressione regale era affascinante e spaventosa allo stesso tempo.
Quando la principessa Zirfis iniziò ad affacciarsi all’età adulta prese l’abitudine di trascorrere molto tempo nella Foresta Sacra, anche di notte, rincasando solo quando il sole era alto nel cielo. Quando tornava, però, non recava sul viso i segni della mancanza di sonno, anzi: sembrava piuttosto fresca e riposata. I genitori la vedevano rincasare al mattino in veste da camera, anche in pieno inverno, eppure mai un malanno, mai un segno del freddo patito si notava su di lei. La preoccupazione del re e della regina andava crescendo, ma la figlia li rassicurava: «State tranquilli, sto bene. Sono felice quando passeggio al buio tra gli alberi».
Nel giro di poco tempo la principessa smise di mangiare e bere, ma a niente valsero le preghiere dei genitori; ella rifiutò qualunque alimento o bevanda, ma il suo corpo sembrava non soffrire né deperire per questo.
Una notte Gealis si recò a piedi scalzi di fronte alle statue di Menulis e Aurisio che si ergevano nel cuore del Giardino degli Antenati, si inginocchiò e chiese aiuto.
«Madre, padre, che dal cielo vegliate sul mondo, come può mia figlia vivere senza cibo, sonno e acqua come te, Menulis, prima che lasciassi la tua immortalità?»
Dalle mani della statua di Menulis apparve una piccola scintilla che iniziò a muoversi in direzione della Foresta Sacra. La regina capì di dover seguire quella luce e camminò a piedi fino al centro del bosco, dove le piante erano così fitte da risultare impenetrabili. Eppure, un’altra luce, di colore viola, illuminava un piccolo spiazzo privo di piante. Essa proveniva dalle mani di Zirfis, che stava levitando in aria in stato di trance. Sotto di lei c’era un profondo buco scavato nel terreno, dal quale sorgevano rovi spinosi coperti di rose nere. Sui tronchi rinsecchiti degli alberi intorno spiccavano delle strane incisioni violacee, intrise d’incantesimi sconosciuti.
Finalmente, sotto lo sguardo atterrito della madre, la principessa aprì gli occhi e tornò a toccare la terra con i piedi, sul limite della fossa, mentre la luce che le fluttuava intorno prese a svanire lentamente.
«Mamma! Finalmente ti sei decisa a seguirmi!» esclamò la giovane. «Hai visto che meraviglia? Ho convinto la terra a cedermi il suo nutrimento e la sua acqua. E questa specie di trance in cui cado è più corroborante del sonno, in due o tre ore riesco a nutrirmi e a riposarmi! Vuoi provare?»
La regina fissò la figlia, scuotendo il capo da sinistra a destra. «Io non so cosa tu stia facendo, ma non mi piace affatto quel che sento. La terra non deve essere forzata con la magia a fare cose che non desidera, deve essere libera di fornire lei stessa quel che crede!»
«E perché dovrebbe essere lei a decidere? Perché non posso decidere io?»
«Perché il nostro compito è guarire, proteggere e sorvegliare! Siamo guardiane, non padrone!»
Zirfis si voltò verso la madre e si lasciò sfuggire un ghigno. «Se solo volessi ascoltarmi…» proseguì. «Sto cercando un modo per sconfiggere la dipendenza dell’essere umano dalla natura! Ho già sconfitto la sete, la fame e la necessità di dormire; con il tempo sono certa di trovare anche una cura anche per la vecchiaia e per la morte!»
«Non puoi cambiare il corso degli eventi, non puoi sconvolgere il ciclo naturale delle cose! Tutto in questo mondo è destinato a cambiare e a scomparire; anche tu e io un giorno scompariremo!»
«Io non voglio scomparire» sibilò Zirfis.
«Ti attende un destino felice! Regnerai su questo meraviglioso regno per lunghi anni, poi ti ricongiungerai a me, a tuo padre e a tutte le figlie della Luna che ci hanno preceduto.»
«Perché dovrei volerlo? Io voglio restare qui per sempre, è casa mia! Solo perché la natura ha deciso che io debba morire, devo essere d’accordo? Perché è giusto curare una ferita che potrebbe infettarsi ma non è giusto che io voglia curare la morte e la vecchiaia?»
«Perché non sono malattie, sono parti della vita!»
«Come può la morte essere parte della vita? Dove c’è morte non esiste alcuna vita!»
«Zirfis, ascoltami, non giocare con delle forze tanto più grandi di te; è giusto battersi per sfuggire a una morte anzitempo, ma una fine è prevista per tutti: adesso sei giovane, non crucciarti con questi pensieri a cui non cedo ancora neppure io.»
«Voglio vedere se la penserai così tra trenta o quarant’anni!»
«Sarò pronta a incontrare il mio destino con la testa alta e il cuore leggero. Adesso vieni a casa, ti prego!»
Quella notte Zirfis tornò a casa e finalmente ricominciò a mangiare e a dormire normalmente.
Si avvicinava il suo venticinquesimo compleanno; il re e la regina speravano che un incontro romantico potesse allontanare dalla figlia quelle pericolose idee, ma nessun uomo pareva fare breccia nel suo cuore. Zirfis non aveva mai mostrato interesse per alcuno e non voleva più parlare ad anima viva eccetto che alla sorella Margas; l’unica che ancora poteva farle visita in camera sua.
Il re e la regina organizzarono una festa per celebrare il compleanno della primogenita. Zirfis si mostrò cordiale e gentile con ogni invitato, baciò i genitori e sorrise per tutta la sera. Quando giunse il momento di ringraziare gli invitati, la principessa disse:
«Sorelle e fratelli di questo splendido regno, vi ringrazio per essere venuti. L’alba di una nuova era sorgerà su di noi tutti, un’era in cui l’agricoltura, l’allevamento, qualunque tipo di artigianato che serva alla sopravvivenza non saranno più necessari. La terra da sola potrà darci tutto quel di cui abbiamo bisogno, senza che lei ci chieda mai più niente in cambio. Il sonno, la fame, la sete, la malattia, la vecchiaia e la morte saranno parte di un passato destinato a non tornare più!»
Lo stupore e gli occhi sgranati e spaventati di chi l’ascoltava non ebbero alcun effetto su di lei e nemmeno le sommesse preghiere dei suoi genitori riuscirono a fermarla.
«Zirfis, falla finita! È un ordine!» gridò alla fine la regina.
«Pensate cosa vuol dire essere al di fuori di qualunque ciclo della natura» proseguì Zirfis. «Nessuna stagione, nessun limite di tempo! L’essere umano potrà finalmente essere libero e padrone di se stesso, come me!»
Grosse radici comparvero improvvisamente dal pavimento, spaccando il marmo rosa di Munvestia per farsi strada e andare ad avvilupparsi vicino a Zirfis, senza sfiorarla, in una sorta di rispettoso abbraccio. La ragazza portò le mani al cielo e un’enorme onda di luce viola abbagliò i presenti, ancora spaventati a morte dalla comparsa delle radici.
«Guardate!» urlò Zirfis. «Guardate come la terra mi teme e mi ubbidisce! Seguitemi e io vi donerò il potere di disporre di voi stessi per l’eternità!»
«ADESSO BASTA!» gridò Gealis.
Un fascio di luce azzurra interruppe il rituale di Zirfis: la regina pronunciò ad alta voce alcune parole incomprensibili e le radici scomparvero. Il pavimento si ricostruì come se nulla fosse e Zirfis cadde a terra, i neri capelli a coprirle il viso.
«Figlia, hai osato troppo! Hai spaventato la nostra gente, sei venuta meno al sacro valore dell’ospitalità mettendo tutti in pericolo e hai celebrato un rito che va contro ogni legge del creato. Non sarei voluta arrivare a questo, ma è mio dovere come regina e come madre privarti di qualunque diritto sulla mia corona e su questo regno. Non permetterò che il nostro popolo sia alla tua mercé, non permetterò che tu infanghi il nome dei Kindreik e della Luna! La corona tricolore passerà a tua sorella Margas: lei farà rispettare con onore quel che da sempre è giusto per tutti noi.»
Zirfis non proferì parola; si alzò da terra, levò in alto la mano destra ed evocò una nube magenta che la avvolse facendola sparire nel nulla. Da allora nessuno la rivide mai più e tutti i tentativi di ritrovarla si rivelarono vani.
La regina, pentendosi della severità con cui si era espressa (ma non della sua decisione), andò a cercarla nel punto della foresta dove l’aveva trovata alcune settimane prima, ma qualunque traccia del passaggio della figlia pareva esser stata cancellata: la terra era compatta e gli strani segni incisi sulla corteccia degli alberi, tornati floridi, erano scomparsi.
«Nessuno la rivide più, da allora?» domandai.
«Non esattamente. Lascia che ti legga il seguito.»
Gli anni trascorsero tranquilli. Non appena gli anziani sovrani furono troppo stanchi per portare ancora il peso del regno, la principessa Margas venne incoronata regina a fianco del marito Keberan Enàr. Ella sostenne per lungo tempo il peso della corona, regnando con forza e saggezza fino a veneranda età. Quando l’unica figlia della regina Margas, Elmas, raggiunse la piena maturità del corpo e della mente, una nube di inquietudine iniziò a adombrare le giornate del regno.
«Parlano della nonna!» cinguettai, tutta emozionata.
«Certamente, ma non c’è bisogno che te lo legga io. La memoria della nonna non fallisce; andiamo da lei e facciamoci raccontare tutto.»
Mia nonna, la regina Elmas, era in piedi in un angolo buio del giardino, intenta a curare dei fiori rampicanti che non volevano saperne di fiorire.
«Suvvia!» la sentii borbottare. «Perché non volete aprire i vostri bei petali? Piccole pesti verdi, vi farò divorare dagli afidi!» I fiori però non sembravano temere le sue minacce e ondeggiavano beffardi le corolle chiuse verso di lei.
La nonna scoppiò a ridere e disse, senza voltarsi: «Tesori miei, so cosa siete venute a chiedermi. Volete farmi ricordare la Battaglia delle Lune, quando passai alla storia come “Elmas la Guerriera”. Ah, se non fosse stato per Alunir non so come sarebbe andata…»
La nonna indicò il fodero che teneva legato alla vita, da cui spuntava appena l’elsa a forma di testa di tigre, poi sguainò la spada con la mano sinistra; una lama bastarda forgiata col platino e l’argento, intrisa di migliaia di incantesimi, rifulse sotto i miei occhi affascinati.
«Un giorno questa spada sarà tua, Estel, e vedrai che saprai maneggiarla bene quasi quanto me» sentenziò, rinfoderando Alunir. «Hai solo sette anni, ma hai già nel portamento quella grazia e quella forza che faranno di te una vera combattente! Te ne accorgerai da sola, non appena inizieranno le lezioni di scherma.»
«Inizieranno presto? E sarò brava?» chiesi speranzosa.
«Ma certo, non ho dubbi; ho previsto molte cose e le ho sempre indovinate tutte! Tua mamma invece sa che per lei è meglio dedicarsi ad altre faccende. Ah, mia dolce Iviole! Hai l’indole calma e buona di tuo padre, non il mio temperamento focoso!»
Mia madre alzò gli occhi al cielo sorridendo e le rispose: «Lo sai che ho sempre preferito tenere in braccio bambini piuttosto che spade!»
«Io invece ho tenuto in braccio più spade che bambini e le spade non piangono nemmeno! Vieni Estel, siediti qui con me sull’erba.»
Mia nonna, la cui agilità non era minimamente intaccata dal tempo, si sedette con le gambe incrociate sotto un albicocco. Mia madre e io la imitammo e una farfalla bianca cominciò a volteggiarci intorno per poi volare fino alle mani della statua di Menulis. A dispetto dei caratteri così diversi, la mamma e la nonna si somigliavano moltissimo nell’aspetto; gli stessi occhi chiari, la stessa forma ovale del viso, lo stesso nero corvino dei capelli, anche se la chioma di mia nonna, sebbene lunga e folta, era striata di fili argentati.
La nonna allungò una mano e staccò un’albicocca matura da un ramo basso.
«Grazie, mamma» sussurrò, alzando gli occhi verso l’albero e accarezzando la ruvida corteccia.
Quando i figli della Luna (o i loro consorti) restituiscono il corpo alla terra, le loro ultime energie vitali si concentrano nel seme dell’albero che avevano preferito in vita. Tutti gli alberi nati dai membri della famiglia Kindreik erano stati piantanti nel giardino interno di Munverstia, che noi chiamavamo Giardino degli Antenati. Lì, diverse coppie di alberi riportavano alla mente tutte le regine e i re che ci avevano preceduti; in mezzo a essi torreggiavano le statue raffiguranti Menulis e Aurisio, con a fianco una mimosa e un limone.
«Zirfis era davvero così cattiva?» domandai. «Forse era convinta di star facendo la cosa giusta.»
Mia nonna mi accarezzò la testa e sorrise.
«Certo che ne era convinta; quando Zirfis mostrò in pubblico i suoi rituali proibiti era genuinamente convinta di fare il meglio per il suo popolo. Mia madre era l’unica persona a cui Zirfis dimostrasse di tenere davvero e ha avuto occasione di ascoltare i suoi sproloqui per ore. Mi ha spiegato che le sue intenzioni iniziali non erano affatto cattive, anzi; lei credeva fermamente di agire per il meglio, ma all’unanimità il popolo decise che quel meglio era peggio. Sto facendo troppi discorsi, è troppo presto perché tu capisca… Te la farò breve: Zirfis credeva che le sue scoperte sarebbero state utili alla nostra gente e voleva convincere tutti della bontà delle sue azioni… ma di questo parleremo un’altra volta! Adesso ti racconto cosa accadde il giorno della guerra. Tutto cominciò con la fine del regno di mia madre; la tua mamma aveva undici anni all’epoca, mentre io ero già un’attraente signora. Solo la morte poté convincere la mia povera madre a rinunciare al trono; aveva appena compiuto novantanove anni, ma il dolore di aver perso la sorella finì per prosciugarla. Avrebbe potuto vivere ancora, sai? Noi figlie della Luna invecchiamo pochissimo rispetto alle donne normali. Prendi tua madre, ad esempio; ha quarantaquattro anni ma non ne dimostra più di trenta. Purtroppo, però, le preoccupazioni e le sofferenze possono rubarci molti anni preziosi e renderci vecchie in un lampo.»
«E allora basta stare sempre allegre e contente, no?» esclamai, tutta sorridente.
«Ah, certamente! Insomma, un mese esatto dopo la ricongiunzione di mia madre con la Luna giunse il giorno della mia incoronazione. Secondo le regole di Elberas, una regina che non ha genitori in vita né fratelli deve incoronarsi da sola; avrei tanto preferito essere incoronata da mia madre, ma lei aveva deciso altrimenti… insomma, proprio mentre stavo per posarmi in testa la corona, delle strane ombre furono proiettate dalle finestre; interruppi la cerimonia per correre fuori a vedere, intimando a tutti di non seguirmi e ordinai alle guardie di difendere la sala del trono. Avevo una strana sensazione addosso, ma non riuscii in alcun modo a prevedere cosa sarebbe accaduto…
«Il cielo si fece viola di nubi e il sole parve scomparire; d’improvviso, in mezzo a quelle nubi comparve Zirfis! E non pareva invecchiata di un giorno! Aveva un vestito nero che la fasciava tutta e stringeva nella mano destra un bastone nodoso sormontato da una sfera viola. Era molto bella, ma la odiai fin dal primo istante. Ricordo che iniziò a minacciarmi, dicendo qualcosa tipo: “Come osi tu usurpare un trono che spetta a me? Io sono la legittima erede, io sono la regina di questo regno!” Allora io risposi: “I tuoi genitori ti hanno detronizzata perché non eri degna di Elberas!” e via dicendo. Mentre discutevamo, orde di esseri ripugnanti cominciarono a levarsi dal sottosuolo: sembravano cadaveri in decomposizione, vestiti di stracci e senza armatura; eppure erano di una violenza inaudita, rapidissimi nei movimenti ed estremamente aggressivi.
«La terra sembrava lacerata da queste creature e delle enormi radici ricoperte di spine e di rose nere eruppero dal terreno per avvilupparsi intorno a tutto quello che trovavano… persone incluse. Le case iniziarono a crollare e gli invitati alla cerimonia presero a fuggire gridando, ma grazie alla Luna i miei nervi rimasero ben saldi: difesi il palazzo con uno scudo protettivo e chiamai tutte le Evocazioni che conoscevo: il Cervo Guerriero, la Renna dei Ghiacci, l’Aquila del Fuoco e l’Orso delle Tenebre; ciascuna mi fu di enorme aiuto contro quei cadaveri ambulanti. Le piante che circondavano Munvestia si svegliarono per combattere contro quelle orribili radici spinose e crebbero fino a formare un’enorme coltre che rinforzava il mio scudo. All’inizio mi limitai ad arginare i danni, ma sapevo che se non fossi passata al contrattacco non avrei avuto nessuna possibilità di vittoria. Le Evocazioni stavano tenendo occupata quella megera, ma era giunto il momento di agire. Poiché tua nonna non è tipo da farsi prendere alla sprovvista, sotto il mantello indossavo sia l’armatura sia Alunir; quando ero fanciulla avevo intriso entrambe di innumerevoli incantesimi per esercitare le mie abilità d’incantatrice, ma non avevo mai avuto modo di provarli sul campo di battaglia. Evocai lo Stallone Alato e mi feci strada volando fino al centro della nube viola; Zirfis mi sorrideva beffarda e io non vedevo l’ora di piantarle Alunir in mezzo agli occhi! Non mi vergogno a dire che provai a farlo, ma non appena la punta della spada toccò quella fronte bianca fu esattamente come colpire l’aria, tanto fu veloce Zirfis a spostarsi!»
«Oh, stai raccontando alla piccola la Battaglia delle Lune!» esclamò una voce maschile alle mie spalle.
Il re mio nonno si sedette accanto a mia nonna e le diede un bacio sui capelli. A guardarli pareva una coppietta di giovani sposi nel fiore della bellezza; mio nonno era un umano ma conservava ancora l’avvenenza della gioventù, nonostante i lunghi capelli, un tempo castani come i miei, fossero ormai completamente grigi.
Non mi ero accorta che, aggrappato alle vesti del nonno, c’era anche ꂑ꒒ ꉣꂑꀯꀯꂦ꒒ꂦ ꀰꂑꂵꂦꌅꁲꋊ. Non appena mi vide, ꀰꂑꂵꂦꌅꁲꋊ si accoccolò vicino a me e mi posò la testolina sulle ginocchia per farsi coccolare.
«Lo sai, bimba mia, che tua nonna fu una combattente meravigliosa?» asserì il nonno. «Salì in groppa a un destriero magico, brandendo la spada con la mano sinistra e lanciando incantesimi con la destra! Sembrava una cometa!»
«Adulatore!» ridacchiò la nonna. «Insomma, stavo cercando di capire come colpire Zirfis ma lei, non so come, con una mossa di bastone mi disintegrò l’armatura. Ero terrorizzata! Avevo il busto completamente esposto e temevo di essere spacciata. Con un gesto disperato colpii la sfera viola sul bastone di Zirfis e… Non so cosa accadde esattamente ma a terra, sotto di me, tutto parve fermarsi. Ogni malvagia creatura da lei evocata svanì nel nulla, insieme alle radici spinose e alle rose nere. Zirfis stessa, agonizzando, iniziò a dissolversi nell’aria! Il cielo tornò azzurro, la vegetazione si tranquillizzò e le persone gridarono di gioia. Vorrei dirti che alla fine andò tutto bene, ma non sarebbe vero; molti feriti giacevano al suolo e molti avevano perso la vita. Io feci tutto ciò che era in mio potere; guarii coloro che potevano sopravvivere e chiesi alle piante di rendere onore ai caduti con dei sepolcri fioriti. Quel giorno, e prego di non doverlo fare mai più, fui costretta a far bere ad alcuni sudditi il mio stesso sangue. Il nostro sangue è una specie di panacea, lo sai? Ed è anche l’unico modo per impedire la morte per dissanguamento.
«Il resto della vicenda è ormai storia: quella notte, al sorgere della luna nuova, mi incoronai regina di Elberas e diedi il via a un lungo regno di pace.»
Guardavo mia nonna, incantata, immaginandomi ogni scena dell’accaduto. Aprii bocca per chiederle di più su Zirfis e sul suo bastone magico ma venni interrotta da mio fratello e mio padre, di ritorno dalla lezione di scherma.
«Che storia stavi raccontando, nonna?» chiese Krales, il mio fratellone adolescente.
Indossava una vecchia armatura graffiata appartenuta a mio padre, ma già si notava che iniziava ad andargli stretta. I suoi riccioli rossi e arruffati erano appuntati sulla nuca con un nastro nero, ma alcune ciocche ribelli gli ricadevano sugli occhi azzurri come zaffiri. Krales cercò di scacciarle con le lunghe mani affusolate, ma il vento pareva intenzionato a burlarsi di lui. Ogni giorno diventava un po’ più simile a nostro padre e c’erano diverse ragazze interessate a lui, che per fortuna aveva occhi soltanto per me.
«Stavo raccontando di quando salvai il regno dalla mia perfida zia!» rispose la nonna.
«Oh no, potevate dirmelo! Mi piace troppo quella storia!» esclamò Kral, esibendo un finto broncio. «Ma a proposito… oggi Stella non doveva cominciare le lezioni di scherma?»
«Che cosa?!» gridai, scattando in piedi. ꀰꂑꂵꂦꌅꁲꋊ ꋊꂦꋊ ꁲꉣꉣꌅꈼꁴꁴꂦ ꂵꂦ꒒ꋖꂦ quel mio scatto; mi lanciò un’occhiataccia e tornò a ꋊꁲꌚꀯꂦꋊꂠꈼꌅꌚꂑ ꂠꂑꈼꋖꌅꂦ ꂑ꒒ ꋊꂦꋊꋊꂦ, ma io non vi badai.
Mio padre mise mano alla cintura ed estrasse da dietro il mantello una piccola spada ancora chiusa nel suo fodero color porpora. «Ecco qui una cosa che ti servirà durante le lezioni!» ridacchiò.
Con gli occhi dei familiari puntati addosso, posi la piccola mano tremante sull’elsa della lama e la sfoderai, facendola brillare al sole. Era intrisa di incantesimi beneaguranti opera della mamma e della nonna, appena percettibili anche per un occhio attento.
«Non avevamo deciso di dargliela per il suo compleanno?» bisbigliò mia madre.
Mio padre esplose in una fragorosa risata e finse di non sentirla; si sedette per terra, davanti a me, e mi posò una mano in mezzo alle scapole.
«Avanti, signorina, fammi un po’ vedere che sai fare con quello spiedino. Tira su le spalle!»
Per un istante immaginai me stessa brandire quell’arma di fronte al candido viso di Zirfis. Davvero la mia gente temeva che io potessi diventare come lei, solo perché eravamo nate durante la stessa fase lunare? Io non ero come Zirfis; io avrei difeso il regno, come aveva fatto la nonna.