14 e 16 febbraio – Le avventure di Norvy e Chiara
14 febbraio – Un’umana fuori di testa
Norvy era acquattato in cima all’armadio, con entrambi gli occhi chiusi, ma degli strani mugolii attirarono la sua attenzione. Nel bel mezzo della stanza, Chiara stava ballando in cerchio e canticchiava una melodia irriconoscibile, fermandosi ogni tanto per ridacchiare e borbottare tra sé.
Dolly, distesa vicino al compare, alzò la testa e si mise a fissare la scena.
«Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto», sussurrò Norvy, scuotendo la testa. «È impazzita! Guardala, poverina! Guarda che espressione assente e che movimenti scoordinati! Dovremmo chiamarle un medico!»
«Ma smettila!» ridacchiò Dolly. «Finalmente la vediamo di buon umore! Dev’essere successo qualcosa di bello! Forse ha trovato lavoro, o ha fatto amicizia con qualcuno, o magari… si è innamorata?»
«Eh?!» esclamò Norvy. «Come sarebbe a dire innamorata?!»
«La mia è solo un’ipotesi, però non la escluderei!»
Norvy fissò Dolly con i suoi enormi occhi gialli.
«Quindi vorresti dirmi che quando un umano si innamora sembra completamente matto?! O è solo lei che fa così?»
«Oh, micini miei!» esclamò Chiara, notando finalmente i felidi appollaiati al di sopra della sua testa. «Venite qui tra le mie braccia!»
Norvy e Dolly saltarono addosso alla loro umana e si misero a fare le fusa; lei li strinse forte e prese ad accarezzarli sulla schiena.
«Troppo affettuosa», borbottò Norvy in miagolese. «Un altro chiaro sintomo di pazzia!»
«Stai zitto!» rispose Dolly. «Solo tu prenderesti per pazzia un gesto di affetto!»
Chiara posò i gatti sul letto e si sedette di fronte al portatile. Per una volta, dopo tanti giorni, stava sorridendo.
16 febbraio – Il Maine Coon
«Vi odio! Vi odio! Vi odio!» borbottò Norvy, attraverso la grata del suo trasportino.
«Non è colpa nostra se dovevi fare un vaccino», rispose Chiara, cercando la chiave del portone.
«Suvvia, guarda il lato positivo!» aggiunse Maura. «Finalmente ti abbiamo comprato l’erba gatta che desideravi tanto!»
«Magra consolazione! Almeno lasciatemi uscire da questa gabbia per topi!»
«In effetti si sta un po’ stretti qui dentro», disse Dolly, chiusa in un altro trasportino. «Avrei voglia di fare le scale!»
«Ma sono tre piani! Siete sicuri di voler faticare così tanto?» chiese Chiara.
«Sì, tranquille!» disse Norvy. «Un gatto grosso e forte come me non ha paura di qualche gradino!»
Alla fine le umane aprirono i trasportini e lasciarono i mici liberi di zampettare a piacimento.
«Tu vai pure su con l’ascensore», disse Chiara a sua madre. «Io aspetterò che si stanchino e li porterò su di peso!»
«Ehi!» obiettò Norvy. «Io non mi stanco mai!»
Quando giunsero a metà del secondo piano, Norvy e Dolly si accasciarono sui gradini come dei sacchi di patate.
«Lo sapevo!» disse Chiara, prendendoli in braccio entrambi. «Grazie a voi mi verranno i muscoli di un culturista!»
Qualche rampa di scale dopo, Chiara posò i gatti a terra e suonò il campanello. In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono e comparve un signore benvestito con un grosso gatto arancione tra le braccia.
«Buonasera!» disse l’uomo. «Vedo che anche tu hai ceduto al fascino dei felidi!»
«Buonasera Fausto!» rispose l’umana. «Beh, sì, alla fine mi sono ritrovata con questi due… Come sta il tuo Procione?»
«Benissimo!» disse lui con un sorriso. «Guarda quanto è cresciuto!»
«È diventato proprio un bel micione! Quanti anni ha adesso? Un paio?»
«Quasi tre, e pesa più di nove chili! Chissà se crescerà ancora…»
«Chissà!» disse Chiara sorridendo. «I Maine Coon possono diventare proprio grandi…»
Norvy era stato distratto per qualche istante dal dolore provocato dal vaccino, ma appena si rese conto della presenza dell’altro gatto iniziò a soffiare e a miagolare come un pazzo.
«NORVY! CHE MODI SONO?!» gridò Chiara, chinandosi al volo e bloccando il micio con le braccia. «Scusami Fausto, ma il mio Norvy ha un carattere tremendo ed è molto territoriale!»
«L’ho notato! È meglio che porti via Procione prima che decidano di azzuffarsi, mi pare che anche lui si stia agitando! Arrivederci!»
Fausto sparì in fretta nel suo appartamento. Procione si voltò un’ultima volta verso Norvy mostrando i denti e soffiando forte.
«Come ti è venuto in mente di imbizzarrirti in quel modo?!» domandò Chiara al grigio Norvegese.
«Hai visto che orrida creatura teneva in braccio quel bipede? Perché non mi hai mai detto di questo immondo demonio che vive proprio nell’appartamento di fronte al nostro?!»
«Perché non te l’ho detto? Per evitare tutta questa sceneggiata, ecco perché!» rispose Chiara, scuotendo la testa.
«Umana ottusa! Se non mi avessi stretto così forte, sarei saltato su quella sua testa pelosa e gli avrei conficcato gli artigli nel cranio! E ora mollami, devo sfogare la mia ira!»
Chiara allentò la presa e guardò Norvy scavalcare il divano e correre verso camera sua.
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